Sin dagli anni ’90, ci si è iniziati ad interrogare su quale dovesse essere la forma di remunerazione che permettesse, più di ogni altra, di responsabilizzare il personale dipendente (soprattutto quello investito di mansioni e funzioni particolarmente rilevanti per le sorti economiche e finanziarie dell’impresa), ponendolo nella posizione di optare sempre per le soluzioni che facessero il “bene” dell’imprenditore.
Una soluzione oggi molto utilizzata, soprattutto dai grandi gruppi multinazionali, consiste nella adozione di piani di partecipazione azionaria, capaci di incidere direttamente sulla remunerazione del lavoratore.
I piani di incentivazione azionaria hanno l’obiettivo di fidelizzare e premiare dipendenti e manager, mediante l’assegnazione di azioni o di diritti per l’acquisto a un prezzo predefinito di azioni della società con la quale il soggetto intrattiene il rapporto di lavoro o delle società controllate o controllanti della stessa.
Per dirlo in altri termini, l’obiettivo è premiare i lavoratori più meritevoli ovvero fidelizzare quelli più promettenti, ancorando parte del loro guadagno all’andamento economico della società per cui lavorano e, pertanto, mediante un coinvolgimento in prima persona nella compagine sociale.
Le forme di incentivazione azionaria
La disciplina di riferimento in tema di incentivazione azionaria è prevalentemente descritta all’articolo 2349 c.c. che, con specifico riferimento alle società per azioni, al primo comma prevede:
“Se lo statuto lo prevede, l’assemblea straordinaria può deliberare l’assegnazione di utili ai prestatori di lavoro dipendenti delle società o di società controllate mediante l’emissione, per un ammontare corrispondente agli utili stessi, di speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento ed ai diritti spettanti agli azionisti. Il capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente.”
Parafrasando il disposto normativo, orbene, il Legislatore ha inteso disciplinare il fenomeno dell’assegnazione di pacchetti azionari al personale dipendente. Nello specifico, quindi, sulla base di una previa disposizione statutaria – o comunque una contestuale modificazione dello statuto – l’assemblea straordinaria della società può deliberare che gli utili siano imputati a capitale e, per l’importo corrispondente, la società emetta speciali categorie di azioni che vengono assegnate ai lavoratori.
In generale, i piani di incentivazione azionaria che possono essere erogati ai lavoratori in caso di raggiungimento di specifici obiettivi di risultato, oppure in base al mantenimento di un ruolo in azienda, possono essere suddivisi in tre categorie:
- Stock option: piani nei quali al lavoratore vengono assegnate opzioni a sottoscrivere o ad acquistare in futuro azioni della società ad un prezzo predeterminato;
- Stock grant: piani che prevedono l’assegnazione gratuita dei titoli al verificarsi di determinate condizioni;
- Stock purchase: piani che consentono al dipendente di acquistare immediatamente le azioni a condizioni di favore.
- Gli stock option plan
Con riferimento alla prima categoria, non si può di certo esimersi dal descrivere quello che, tra i piani di incentivazione, è certamente quello più diffuso e conosciuto.
Inizialmente di derivazione anglosassone, lo strumento delle stock option ha finito col tempo per diffondersi anche in Italia.
Con il termine inglese stock option vengono designate quelle operazioni aziendali con le quali una società attribuisce ai propri lavoratori un diritto di opzione su azioni di nuova emissione. Di regola, gli accordi tra le parti prevederanno anche una scadenza per esercitare il diritto attribuito al lavoratore, che si sostanzia nella possibilità di entrare a far parte della compagine sociale, mediante l’acquisto di un pacchetto di azioni ad un prezzo predeterminato, di regola più basso di quello deciso dal mercato azionario.
Si tratta a tutti gli effetti di una forma di premialità per il lavoratore particolarmente meritevole, il quale avrà così la possibilità di investire nella realtà aziendale in cui lavora e, quindi, di unire alla propria remunerazione fissa anche una parte variabile: il guadagno prodotto dall’esercizio del diritto attribuito con le stock option, invero, consisterà nella differenza tra il prezzo di acquisto delle azioni e il prezzo a cui potrebbe venderle secondo l’andamento del mercato azionario nonché nel diritto ad accedere alla distribuzione degli utili sociali, in modo proporzionale alla quota di capitale sociale da lui sottoscritta.
Da un punto di vista operativo, le opzioni, nel periodo che intercorre tra l’assegnazione e la data di esercizio ( cosiddetto “vesting period“) non attribuiscono al lavoratore alcun diritto (anche perché, solitamente, si tratta di strumenti non cedibili). Superato questo momento, le opzioni diventano esercitabili liberamente. Il lavoratore, quindi, può esercitare il diritto ad acquistare/sottoscrivere le azioni che gli sono riservate. Naturalmente, nel momento in cui si verifica la condizione che rende esercitabile il diritto all’acquisto/sottoscrizione, la società emittente deve rendere disponibili le azioni, acquistandole sul mercato o emettendone di nuove.
- Una valida alternativa alle stock option: lo stock grant
Se certamente, come detto, i c.d. stock option plan costituiscono la forma di incentivazione azionaria più diffusa, non di meno esistono oggi ulteriori forme di partecipazione del personale al capitale di rischio dell’impresa in cui prestano la loro attività.
Se vero, infatti, che la politica della compagine sociale potrebbe portare ad attribuire al lavoratore meritevole un diritto di opzione per l’acquisto, ad un prezzo prestabilito, di azioni di nuova emissione, è parimenti vero che l’assemblea straordinaria potrebbe addirittura optare per l’assegnazione diretta al lavoratore di azioni di nuova emissione, a titolo gratuito.
Questa forma di incentivazione azionaria viene chiamata nel settore stock grant e consiste, per l’appunto, nella deliberazione da parte dell’assemblea straordinaria di un aumento di capitale (da deliberarsi mediante l’utilizzo delle riserve esistenti) e la conseguente assegnazione delle azioni di nuova emissione, gratuitamente, ai lavoratori.
Tale ipotesi si distingue da una terza ancora diversa, conosciuta come stock purchase, in cui l’assemblea andrebbe invece a deliberare un aumento a pagamento di capitale sociale da offrire in sottoscrizione ai soli dipendenti e, quindi, a titolo oneroso.
Le problematiche più frequenti dei piani di incentivazione
Nonostante, come detto, i piani di incentivazione si atteggino a misure premiali per il lavoratore , non di rado si sono posti degli interrogativi circa l’effettiva capacità di queste misure di incrementare il guadagno del lavoratore e, del resto, di rispecchiare l’effettivo apporto e gli sforzi della classe dirigenziale rispetto ai risultati economici ottenuti dall’impresa.
L’equilibrio tra interessi aziendali ottenuto mediante i piani di incentivazione risulta di particolare complessità con riguardo ai grandi gruppi multinazionali e non sempre riesce a sortire gli effetti sperati. In queste grandi realtà, invero, non è semplice trasformare un alto dirigente in azionista, in quanto è molto raro che questi soggetti siano in grado di acquistare una quota significativa del capitale sociale della società che dirigono, con la conseguenza che gli incrementi di valore delle azioni della società finirebbero per riflettersi solo marginalmente sui benefici remunerativi per i dirigenti, limitando così l’effetto incentivante connesso agli strumenti di fidelizzazione.
Un’ulteriore problematica potrebbe poi emergere dalla mancanza di una relazione diretta tra le decisioni manageriali e le variazioni di borsa dei titoli. Potrebbe infatti accadere che, nonostante i manager abbiano operato con grande impegno e competenza, il prezzo delle azioni scenda in virtù di eventi particolarmente sfavorevoli e capaci di incidere negativamente sul mercato azionario. Oppure, viceversa, dirigenti non particolarmente meritevoli potrebbero vedersi premiati da un andamento di borsa particolarmente ed inaspettatamente favorevole. È proprio a causa di tali fenomeni che spesso i dirigenti chiedono (e spesse volte ottengono) di rivedere il prezzo di esercizio delle opzioni nei piani di stock option, mediante operazioni di repricing in caso di forti ribassi azionari.
Un altro tema particolarmente ostico riguarda la redditività dei titoli trasferiti al personale dipendente. Nello specifico, il lavoratore azionista potrebbe ritenere di aver ricevuto un rendimento adeguato al suo investimento qualora gli incrementi dei prezzi di mercato delle azioni, nonché i dividenti ricevuti, conducano alla determinazione di una redditività dell’investimento azionario sufficinete a remunarere il rischio sostenuto; un rendimento apprezzabile sarebbe, invece, quel rendimento che oltre a remunerare il rischio, riesca a permettere una redditività superiore a quella media prodotta dalle imprese appartenenti al medesimo settore.
Aspetti fiscali
Da un punto di vista prettamente fiscale, le forme di incentivazione azionaria sollevano certamente dei quesiti in tema di obblighi dichiarativi dei redditi prodotti.
L’aspetto che più deve essere messo in luce riguarda il fringe benefit connesso al valore delle azioni detenute. Invero, è fiscalmente rilevante la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’esercizio del diritto di opzione ovvero dell’acquisto e l’ammontare corrisposto al dipendente: quest’ultimo, quindi, concorrerà a formare interamente reddito da lavoro dipendente e dovranno essere applicate le aliquote progressive IRPEF. Ne consegue che tale reddito deve essere assoggettato a ritenuta d’acconto.
Del resto, l’assegnazione di azioni al lavoratore trasferisce lui il diritto di partecipazione agli utili della società, sottoforma di dividendi, che verranno tassati integralmente con una ritenuta a titolo di imposta del 26%.
In conclusione, l’incentivazione azionaria è una pratica molto diffusa all’interno delle grandi multinazionali ed è, nella maggior parte dei casi, rivolta a beneficio dei top manager.
Lo scopo dei piani di incentivazione, quindi, è quello di permettere un coinvolgimento diretto del lavoratore dipendente o della classe dirigenziale nei risultati economici della società, creando così fenomeni di fidelizzazione, attaccamento alla causa e responsabilizzazione del lavoratore coinvolto. In altri termini, il lavoratore accederà alla compagine sociale, diventando lui il stesso il primo artefice dei risultati dell’attività d’impresa e, di conseguenza, anche del suo guadagno personale.