Il diritto di recesso del socio di s.p.a. per mutamento dell’oggetto sociale. Il presupposto del “cambiamento significativo”.

La nuova dimensione dell’istituto: il recesso come strumento per stimolare il dialogo tra i soci

Tradizionalmente il diritto di recesso era concepito come strumento di tutela della posizione del singolo socio: di fronte all’eventualità di subire decisioni della maggioranza ritenute penalizzanti perché tali da modificare condizioni essenziali della società, al socio viene concesso un “diritto di reazione” consistente nella possibilità di disinvestire e di uscire dalla società riscuotendo una somma pari al valore patrimoniale della società. Le più moderne impostazioni tengono conto della circostanza che le società di capitali sono veicoli dell’investimento e tale visione deve orientare l’interpretazione dei diversi istituti societari, fra i quali, in primis proprio il recesso.

Il recesso è quello strumento che nelle società di capitali può essere esercitato solo nei casi espressamente previsti dalla legge e consente al socio recedente di disinvestire la propria partecipazione, qualora intervenga un mutamento delle condizioni di rischio e, pertanto, al mutare di uno o più degli elementi essenziali della società.

La riforma del diritto societario ha, modificando in profondità il precedente assetto, inteso valorizzare l’istituto del recesso quale contrappeso del principio maggioritario ed al fine di bilanciare l’accresciuto potere della autonomia privata nella determinazione degli assetti societari con l’ampliamento delle possibilità di reazione, attraverso l’aumento delle ipotesi di exit, del singolo socio. Si attua, così, una maggiore efficacia della tutela del socio di fronte a cambiamenti sostanziali delle condizioni dell’investimento.

L’attribuzione a ciascun socio del diritto di recesso apre inevitabilmente ad una serie di questioni legate alla solidità e alla prosecuzione del vincolo sociale.

La dottrina definisce espressamente il recesso come “strumento di tutela dell’interesse del socio al disinvestimento della partecipazione (sul punto, tra i tanti, S. Masturzi, Recesso del socio, in M. Sandulli – V. Santoro (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, 82) ed ha sostenuto che, quantomeno in astratto, il suo esercizio rappresenta il pendant di un sostanziale ridimensionamento delle situazioni contrattuali ritenute intangibili della maggioranza durante societate” (G. Marasà, Prime note sulle modifiche dell’atto costitutivo della s.p.a. nella riforma, in Giur. comm., 2003, I, 142).

Secondo questa visione, invero, il diritto di recesso si traduce in concreto nella possibilità per il socio di porre il veto ad una determinata deliberazione o al compimento di una determinata operazione ritenuta lesiva di un suo diritto o di impugnarla o di censurarla sul piano della legittimità.

A ben vedere, il rischio di depauperamento del patrimonio sociale che l’esercizio del recesso comporta, finisce per indurre la maggioranza a negoziare le condizioni di base delle proprie decisioni prima di assumerle formalmente, forzando quel dialogo tra i soci che di per sé rappresenta certamente un fattore di ricchezza per la società.

Si tenga, infine, conto che qualora tale dialogo non abbia “funzionato”, la società può sempre revocare la propria decisione fonte del recesso, finendo per fare perdere efficacia a quest’ultimo, ripristinando le condizioni di partenza.

In questi termini, l’istituto del recesso non dovrà più necessariamente considerarsi come “abbandono senza ritorno” ma, anzi, come strumento per stimolare il dialogo tra i soci, per indurre la maggioranza a rivedere (sino a revocare) le proprie scelte, nell’ottica di trattenere il socio.

In altri termini, si vuole riconoscere nell’istituto del recesso non tanto e non solo un presidio delle posizioni del singolo socio, ma uno strumento di equilibrio che, alla fine avvantaggia il ricorso ad avvalersi dello schema capitalistico per l’attività di impresa.

Le ipotesi in cui il socio di una società di capitali può recedere dal contratto sociale sono solo quelle espressamente previste dal Legislatore e sono tassative: il che significa che l’invocazione del recesso al di fuori delle ipotesi di legge integra una condotta illegittima che non trova tutela nel nostro ordinamento. Sotto questo specifico aspetto, del resto, la disciplina prevista per le società di capitali si distingue da quella delle società di persone, dove è prevista la facoltà del socio di recedere adducendo l’esistenza di una “giusta causa”.

Per quel che ci occupa in questa sede, le ipotesi tassative di recesso previste per il socio della s.p.a. vengono annoverate all’articolo 2347 c.c., in cui l’esercizio del diritto viene subordinato al fatto che il socio non abbia concorso alla delibera che ha condotto ad una modifica statutaria che legittimi il suo recesso. In altri termini, la norma pone un importante limite al socio che intende recedere: egli potrà farlo solo se, rispetto a quella delibera di approvazione di una modifica statutaria, egli è rimasto assente, dissenziente oppure astenuto.

Per quel che ci occupa in questa sede, del resto, l’articolo 2437 c.c., annovera tra le ipotesi di recesso quella in cui il socio non abbia concorso alla delibera modificativa della clausola dell’oggetto sociale, “quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società” (comma I, lettera a).

 

Il diritto di recesso ex art. 2437 c.c., comma 1, lett. a) alla luce del tenore letterale della norma

Una prima considerazione che si può approcciare in tema riguarda certamente il lessico e quindi la terminologia utilizzata dal Legislatore, che inevitabilmente traccia i presupposti dell’esercizio legittimo del diritto di recedere.

Precisamente, si può notare come il Legislatore abbia espressamente introdotto, unicamente per il caso descritto alla lettera a) del primo comma, la precisazione che:

il diritto di recedere è subordinato non solo al fatto che il socio recedente non abbia concorso alla delibera modificativa dell’oggetto sociale, bensì sarà necessario inoltre che la modifica deliberata determini un “cambiamento significativo dell’attività della società”.

Detta precisazione assolve di fatto due funzioni: da una parte circoscrive il novero delle ipotesi concrete di esercizio del diritto di recesso in questa specifica ipotesi; dall’altro evidenzia una differenza fondamentale rispetto alle altre ipotesi contemplate dall’art. 2437 c.c.

Nelle ipotesi diverse da quella della lettera a) del primo comma (ad esempio in caso di modifica delle regole in tema di diritto di voto o nella circolazione delle partecipazioni), invero, sarà sufficiente una qualunque modifica statutaria a legittimare l’uscita del socio dalla compagine sociale, senza che sia necessario alcun ulteriore requisito legato alla “consistenza” ovvero alla “significatività” della modifica deliberata.

A valorizzare il dato letterale ci ha pensato, del resto, anche la Corte di Cassazione, secondo cui:

“assai persuasiva è la valorizzazione del dato letterale in altra ipotesi di recesso concernente la modifica della clausola che disciplina l’oggetto sociale, a norma dell’art. 2437 comma 1 lett a) c.c., è stato lo stesso legislatore a richiedere espressamente la rilevanza sostanziale della modifica statutaria. Ne consegue che se, nell’ipotesi di cui è causa, il legislatore non ha richiesto tale ulteriore requisito, vuol dire che ai fini del recesso è sufficiente una qualsiasi modifica statutaria idonea a rimuovere i limiti alla circolazione delle azioni” (Corte di Cassazione, sez. I, sent., 27.06.2022, n. 20546).

 

Le implicazioni pratiche del requisito del “cambiamento significativo” 

Come anzidetto, la previsione dell’art. 2347, comma 1, lettera a) c.c. subordina il legittimo recesso del socio all’adozione di una delibera che modifichi l’oggetto sociale, limitatamente alle ipotesi in cui la decisione assembleare conduca ad un cambiamento significativo dell’attività sociale.

Una prima e preliminare riflessione dovrebbe necessariamente coinvolgere il distinguo tra modifiche formali e modifiche sostanziali e, quindi, tra variazioni che comportino un mutamento solo della “lettera” della clausola e variazioni che importi, ex adverso, una concreta novazione delle attività che potranno essere svolte dalla società.

Ai fini del recesso, sembrerebbe pacifico che – sempre guardando al tenore letterale – la modifica dell’oggetto sociale debba condizionare in concreto l’attività sociale, definendone ex novo i contorni.

Secondo quanto sostenuto dalla dottrina, a ben vedere, il diritto del recedente va riconosciuto soltanto qualora la modifica determini un mutamento significativo dell’attività della società che si riflette nelle condizioni di rischio dell’investimento, dovendo invece escludersi nei casi di modifica “di fatto” dell’oggetto sociale.

Della stessa opinione la costante giurisprudenza, secondo cui:

  • il recesso è uno strumento eccezionale, accordato al socio assente (astenuto, dissenziente), di reazione a una deliberazione assunta o a operazioni poste in essere senza il suo consenso, tali da determinare una sostanziale variazione delle condizioni di rischio dell’investimento (cfr. Trib. Roma 5.7.2011, su Leggi d’Italia). (…) il recesso deve intendersi consentito al socio perché la deliberazione “consente” un cambiamento significativo dell’oggetto sociale ( 3.1.);” (Tribunale Torino, sez. spec. in materia di imprese, sent., 03.07.2017, n. 3473);
  • socio ha il diritto di recedere dalla società è solo quella che, nel configurare l’oggetto della società in modo completamente diverso da quello precedente, comporti lo snaturamento dell’attività e dello scopo sociale” [nel caso di specie la Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le ragioni addotte dal socio ricorrente e, pertanto, ha accertato l’insussistenza del diritto a recedere in virtù di una modifica dello statuto sociale che, in concreto “ha comportato il “semplice completamento di una attività” che già si svolgeva “nell’ambito dello stesso settore merceologico””] (Corte di Cassazione., sez. I, sent., 02.07.2007, n. 14963).

Diversamente, la delibera modificativa non può mai integrare una causa di recesso ai sensi dell’articolo 2437, lett. a), c.c., in tutti i casi in cui le nuove attività indicate si pongano come mere estensioni di attività già perseguite ovvero siano presenti in nuce nell’attività già esercitata dalla società ovvero nelle deliberazioni programmatiche già assunte dalla società (in questo senso, CAGNASSO, Recesso del socio di società di capitali, in Giur. it., 2019, 1, 124).

In questi termini, quindi, si potrebbe sostenere che costituisca mutamento significativo la “trasformazione” della società da operativa in holding pura ovvero il conferimento o il trasferimento dell’azienda o l’affitto della medesima.

Del resto, si segnala che il dibattito, sia giurisprudenziale che dottrinale, è particolarmente acceso con riguardo alla legittimità del recesso in presenza di delibere che estendono oppure contraggono la portata dell’oggetto sociale.

La nuova formulazione della disposizione normativa sembrerebbe aprire all’ipotesi del recesso anche a fronte di un mero ampliamento dell’oggetto sociale, qualora potenzialmente idoneo a determinare un mutamento del rischio d’impresa. Qualche dubbio potrebbe invece essere avanzato, leggendo l’attuale previsione, sull’idoneità di una restrizione dell’oggetto sociale a consentire il recesso.

Infatti, a rigore, sostituendo un oggetto sociale più ampio (ad esempio, “produzione e commercializzazione di macchinari per l’edilizia”) con uno più ristretto (“produzione e commercializzazione di carrelli elevatori per uso nel settore edile”), non sembrerebbe ipotizzabile un cambiamento significativo dell’attività sociale.

Ciò nonostante, l’orientamento maggioritario è incline a ritenere che anche la restrizione dell’oggetto sociale debba ritenersi in astratto idonea a “giustificare” il recesso in quanto, pur non “consentendo” un significativo cambiamento dell’attività della società, limita la possibilità di operare in taluni settori o compiere determinate operazioni, in grado di incidere sulle caratteristiche di rischio e rendimento dell’investimento azionario (sul punto, M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Rivista delle Società, n. 1, 2005).

Da ultimo, non ci si può di certo esimere dal rilevare che una certa parte della dottrina ha tentato di valutare le implicazioni pratiche della questione sotto un punto di vista differente, riconducendo la legittimità o meno del recesso alla luce delle conseguenze, positive o negative, della delibera non avvallata dal socio.

Precisamente, secondo questo pensiero,  le “modificazioni” sarebbero rilevanti ai fini del riconoscimento del diritto di recesso solo se pregiudizievoli per i soci, circostanza che tendenzialmente sarebbe da escludersi allorché la delibera introduca modifiche che accresceranno il valore reputazionale sul mercato della società e che consentiranno di attrarre nuovi investitori (sul punto, tra gli altri, Perrini – Vurro, Stakeholder Orientation and Corporate Reputation: A Quantitative Study on US Companies, in Symphonya. Emerging Issues in Management, 2013, 1, 53 ss.).

 

Conclusioni

Il recesso è stato certamente uno degli istituti rifondati in occasione della riforma societaria, ripensandone la funzione e ispirandosi per certi versi a logiche opposte a quelle che avevano caratterizzato l’istituto nella legislazione previgente. La sua rifondazione lo ha fatto diventare, specialmente nelle società chiuse, uno straordinario strumento che, se da un lato consente alla minoranza l’exit in presenza di modifiche radicali del disegno imprenditoriale, dall’altro assicura che questa pressione sia convertita in spinta propulsiva dando modo alla maggioranza di verificare sul mercato le prospettive delle scelte adottate e se del caso adattarle o revocarle per assicurare alla società le risorse finanziarie e patrimoniali necessarie allo sviluppo: in questa concezione, il recesso viene pensato come strumento negoziale endosocietario che concentra in sé la funzione di strumento di exit e di voice.

A vent’anni dalla riforma, è doveroso fare una riflessione sul sistema che si è adottato e il recesso, a cui è stato attribuito un ruolo così importante negli equilibri dei rapporti di forza nell’ambito della compagine sociale, rappresenta certamente un interessante banco di prova.

L’esercizio del diritto di exit a fronte di una variazione dell’oggetto sociale, come visto, trascina con sé diverse questioni e diverse incertezze, legate in particolare all’individuazione delle ipotesi concrete in cui la modificazione possa dirsi significativa a tal punto da legittimare (o anche solo quale strumento per paventare) la fuoriuscita del socio che non vi abbia preso parte.