Il divieto di concorrenza nell’ambito di una cessione di azienda
La cessione di azienda o di ramo di azienda è un’operazione con cui l’imprenditore trasferisce a titolo definitivo ad un terzo tutto o parte del proprio compendio aziendale, quest’ultimo di regola composto da beni e macchinari aziendali, eventualmente da immobili e, molto spesso, anche dalla forza lavoro che, al momento della cessione, è alle dipendenze del cedente.
Il complesso di norme civilistiche che regola la cessione d’azienda, peraltro, mira a tutelare anche il valore economico del complesso dei beni organizzati dall’imprenditore ed in particolare l’avviamento. In questo senso, la disciplina introduce precisi limiti all’attività che il soggetto cedente può svolgere successivamente alla cessione d’azienda, con lo scopo di evitare che questi si serva del proprio know-how, delle proprie conoscenze e dell’esperienza acquisita per aggredire lo stesso segmento di mercato (e quindi la stessa clientela) a cui dovrebbe rivolgersi il soggetto che ha acquistato l’azienda.
E’ invero a norma dell’articolo 2557 c.c. che “Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.”
Sul punto la giurisprudenza ha in più occasioni affermato che detta norma non ha carattere eccezionale, ma rappresenta una naturale conseguenza del contratto di cessione, finalizzata a garantire che l’acquirente possa godere pienamente dell’avviamento per cui ha pagato un corrispettivo.
La ratio dell’art. 2557 c.c. è impedire che il cedente, forte della sua conoscenza del mercato, dei clienti e dei fornitori, possa vanificare l’operazione economica “riappropriandosi” di fatto del valore trasferito.
Del resto, la questione diventa più complessa quando il soggetto che cede il compendio aziendale – e che pertanto sarebbe chiamato al rispetto del divieto di concorrenza – non è una persona fisica, bensì una società.
In questo caso, ci si interroga sulla portata e quindi sulla effettiva estensione dell’obbligo anche ai singoli soci della società cedente, i quali formalmente non sono parte del contratto di cessione. La recentissima ordinanza del Tribunale di Milano del 6 febbraio 2025 si inserisce in questo dibattito, fornendo un’analisi dettagliata dei presupposti e dei limiti per l’applicazione del divieto di concorrenza ai soci della società cedente.
L’Ordinanza 6 febbraio 2025 del Tribunale di Milano
Nel quadro giuridico anzi descritto, prezioso è stato come si diceva l’intervento del giudice milanese, che si è espresso in modo lungimirante nell’ambito del reclamo promosso da una società che, dopo aver acquistato un’azienda (nel caso di specie una palestra) da una società sportiva dilettantistica, ha citato in via cautelare un ex socio di quest’ultima per violazione del divieto di concorrenza e per concorrenza sleale, a seguito dell’apertura da parte di quest’ultimo di una nuova palestra nelle immediate vicinanze di quella ceduta.
Il cuore della decisione risiede nella definizione dei criteri per estendere l’obbligo di non concorrenza, che nasce dal contratto di cessione stipulato dalla società, alla sfera giuridica del singolo socio.
Il Tribunale, infatti, subordina la possibilità di estensione analogica dell’obbligo anche al singolo socio della cedente all’esistenza di due presupposti:
- Il consenso all’operazione: il singolo socio deve aver “deciso, autorizzato o comunque in qualsiasi forma prestato la loro adesione alle condizioni dell’operazione di cessione, assumendo la qualità di parti in senso sostanziale del contratto”. Ne consegue che, di regola, l’obbligo di non concorrenza potrà estendersi ai soci di controllo, che hanno il potere quindi di determinare le scelte e le strategie aziendali e non anche ai soci dissenzienti rispetto all’operazione ovvero a coloro che ne sono rimasti estranei,
- La capacità di esercitare una “concorrenza differenziale”: il socio, per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale, deve essere concretamente in grado di esercitare una concorrenza particolarmente incisiva, grazie alla conoscenza dell’azienda, dei clienti e dei fornitori.
In sintesi, secondo il Tribunale di Milano, possono considerarsi sottoposti all’obbligo di non concorrenza assunto dalla società esclusivamente i soci che (i) abbiano deciso, autorizzato o comunque in qualsiasi forma prestato la loro adesione alle condizioni dell’operazione di cessione, assumendo la qualità di parti in senso sostanziale del contratto, e che (ii) per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale siano concretamente in grado di esercitare una concorrenza differenziale.
L’assenza anche di uno solo di questi presupposti fa venir meno la possibilità di estendere analogicamente l’obbligo di non concorrenza anche ai soci della società cedente.
Nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che il socio in questione, pur avendo un ruolo tecnico rilevante, era titolare di una quota di minoranza e non aveva partecipato alla decisione di cedere l’azienda, che era stata voluta dalla maggioranza degli altri soci. Pertanto, mancando il requisito del “consenso”, ha escluso l’applicabilità nei suoi confronti del divieto di cui all’art. 2557 c.c.
Conclusioni
L’ordinanza del Tribunale di Milano del 6 febbraio 2025 offre un importante chiarimento sui confini soggettivi del divieto di concorrenza previsto dall’art. 2557 c.c. in caso di cessione d’azienda da parte di una società.
Il principio essenziale che emerge è che l’obbligo di non concorrenza non si estende automaticamente ai soci della società alienante. L’estensione è possibile solo in presenza di due condizioni rigorose e cumulative: il consenso sostanziale del socio all’operazione di cessione e la sua capacità oggettiva di esercitare una concorrenza differenziale.
Questa decisione valorizza il principio della relatività degli effetti del contratto e la necessità di un’adesione, anche solo sostanziale, del socio all’operazione affinché possa essere gravato da obblighi che eccedono quelli derivanti dal mero status di socio. Un socio di minoranza, dissenziente o comunque estraneo al processo decisionale che ha portato alla cessione, non può essere vincolato dal divieto di cui all’art. 2557 c.c., pur rimanendo soggetto, come ogni altro operatore di mercato, alle norme generali sulla concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c.
