L’attività del mediatore: quando le parti tentano di sottrarsi al pagamento della provvigione
Secondo la disciplina codicistica, il mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.
Gli elementi che tipizzano la figura del mediatore sono quindi tre: la messa in relazione di due o più parti; il fine della conclusione di un affare; la mancanza di vincoli di qualsiasi genere con le parti interessate all’affare.
Il mediatore è quindi soggetto terzo rispetto alle parti, che ai sensi del primo comma dell’articolo 1755 c.c. “ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.
Si può quindi osservare come i presupposti affinché il mediatore maturi il diritto alla provvigione sono sostanzialmente due: che le parti abbiano concluso un “affare” e che tale affare sia stato concluso per tramite del mediatore.
Partendo da quest’ultimo requisito (per focalizzarsi sul secondo infra), affinchè sorga il diritto alla provvigione, serve che l’attività del mediatore si ponga come antecedente necessario al raggiungimento di un’intesa tra le parti, le quali pertanto sono addivenute alla conclusione dell’affare proprio per suo tramite. In altri termini, l’intervento del mediatore deve fungere da presupposto di per sé sufficiente alla messa in relazione delle parti, sicché senza di questo l’affare non si sarebbe concluso.
Non di rado si assiste nella prassi a svariati e fantasiosi tentativi da parte dei clienti delle agenzie immobiliari di “ingannare” il mediatore e sottrarsi al pagamento della provvigione. Il modus operando è ormai tipizzato: i potenziali contraenti, che sembrano aver raggiunto un’intesa e sottoscrivono così il modulo della proposta di acquisto dell’agenzia, decidono improvvisamente di ritirarsi dalle trattative, dichiarando di non procedere più alla compravendita, per poi tuttavia perfezionare il trasferimento dell’immobile “in segreto”, senza coinvolgere il mediatore e tentando così di sottrarsi ai costi della mediazione.
Tuttavia, in tema il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito protende a riconoscere il diritto alla provvigione del mediatore ogniqualvolta egli sia in grado di dimostrare che la sua condotta è stata l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto. Peraltro, non sarebbe nemmeno necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di un incarico, essendo sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore avvantaggiandosene (così: Cass. civ., sez. III, 09.12.2014, n. 25851).
Per questa ragione, nel più delle occasioni i giudici tendono a non riconoscere le domande delle parti che abbiamo concluso la compravendita escludendo il mediatore che le aveva messe in contatto: e ciò soprattutto quando la prova dell’incontro delle volontà è sancito dalla sottoscrizione di un preliminare su carta intestata dell’agenzia immobiliare.
Il presupposto della conclusione di un “affare”
Come anticipato, del resto, il principale requisito ai fini della provvigione del mediatore è che le parti (sempre come detto per tramite dell’agente) abbiano concluso un accordo che possa definirsi come “affare”.
Secondo un’importante filone dottrinale, deve ricondursi al concetto di “affare” qualunque operazione contrassegnata da un contenuto economico, riferendosi non solo ai contratti, ma ad ogni operazione generatrice di obbligazioni, ad ogni rapporto giuridico che abbia carattere vincolante e che riceva tutela dall’ordinamento (Musolino, La figura del mediatore tra codice civile e leggi speciali, in RTDPC, 1990, 1037).
Si considera concluso l’affare tutte le volte in cui ci sia un negozio idoneo a garantire sul piano giuridico il raggiungimento del risultato economico perseguito dalle parti, sia direttamente che indirettamente attraverso la nascita di uno o più rapporti obbligatori.
Quanto poi alla declinazione del concetto di “affare” nel rapporto tra parti e mediatore, la dottrina maggioritaria sostiene che l’affare possa considerarsi concluso quando, per l’intervento del mediatore, le parti abbiano posto in essere un vincolo giuridico produttivo di azione in giudizio per l’adempimento dell’obbligo assunto o, in mancanza, per il risarcimento dei danni (Cataudella, Mediazione, in EG, XIX, Roma, 1990, 10; Stolfi, Della mediazione, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1754-1765, Bologna-Roma, 1970, 27).
Sulla stessa scorta, del resto, anche la Suprema Corte, secondo cui la conclusione dell’affare costituisce“la condicio iuris idonea a far sorgere il diritto alla provvigione” (Corte di Cassazione, sez. II, 27.07.2022, n. 23422).
Il diritto alla provvigione del mediatore nella giurisprudenza
Il tema del momento in cui sorge il diritto alla provvigione del mediatore è da sempre oggetto di copiosa produzione giurisprudenziale: sono proprio le aule di tribunale le sedi in cui di più si è discusso circa la configurabilità di un affare che permettesse al mediatore di chiedere il corrispettivo della sua attività, non tanto in ragione della sottoscrizione di un contratto definitivo, ma piuttosto a fronte della sottoscrizione di un contratto preliminare o di un preliminare di preliminare.
In altri termini, le corti sono state investite dell’arduo compito di definire quando un’intesa, totale o parziale, tra le parti sia inquadrabile come vincolo in termini negoziali.
La giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che, alla luce della definizione che la stessa fornisce di “affare”, anche la conclusione di un contratto preliminare è presupposto sufficiente a far nascere in capo alle parti il dovere di corrispondere la provvigione al mediatore.
Invero, la Suprema Corte ha reiteratamente affermato che nel contratto di mediazione il diritto alla provvigione di cui all’art. 1755 c.c. sorge nel momento in cui fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l’esecuzione (o risoluzione) del contratto stesso e che pertanto “la provvigione spetta al mediatore anche quando questi sia intervenuto per consentire la stipula tra le parti di un contratto preliminare di vendita” (Corte di Cassazione, sez. II, 24.01.2024, n. 2359).
Più dibattuta invece la questione con riguardo al preliminare di preliminare, che tuttavia ha trovato uno snodo importante in una storica sentenza delle Sezioni Unite del 2015, in cui l’intesa raggiunta in sede di preliminare di preliminare viene equiparata a quella raggiunta in sede di preliminare, a patto che esista per le parti un effettivo interesse alla formazione progressiva del contratto.
In questa sede, le SS.UU. si sono espresse affermando che si tratta di un accordo idoneo a far sorgere tra le parti un vincolo giuridico, a soli effetti obbligatori, rispetto al quale non può trovare applicazione la tutela in forma specifica ex art. 2932 c.c., ma solo il diritto del contraente fedele ad ottenere la risoluzione del vincolo ed eventualmente il risarcimento del danno sofferto in conseguenza dell’altrui inadempimento.
Del resto, per quel che può riflettersi in tema di diritto alla provvigione, le Sezioni Unite hanno precisato che il preliminare di preliminare non è nullo per difetto di causa nell’ipotesi in cui tale accordo rifletta l’intenzione delle parti ad una formazione progressiva del contratto e, quindi, solo ove il contenuto del preliminare di preliminare sia diverso rispetto a quello del successivo contratto preliminare.
Il principio enunciato nel 2015 non è rimasto isolato e, anzi, è stato pedissequamente ripreso nel tempo dalla giurisprudenza, anche più recente, con forti ripercussioni anche in tema di diritto alla provvigione.
È chiaro infatti che dal momento in cui il concetto di “affare” viene esteso sino a ricomprendervi il preliminare di preliminare, anche il raggiungimento di un intesa parziale tra le parti (se non altro sugli elementi essenziali del contratto), che sia conseguenza dell’attività del mediatore, legittimerebbe costui a pretendere il pagamento delle proprie spettanze.
Il ripensamento della Suprema Corte: la sentenza n. 31431/2023
Con una recentissima sentenza, tuttavia, la Corte di Cassazione ha invertito quello che ormai doveva essere un orientamento granitico in tema di provvigione per la sottoscrizione di un preliminare di preliminare.
L’attrice – società operante nel campo della mediazione immobiliare – promuoveva domanda giudiziale nei confronti dei promissari acquirente e venditore al fine di vedersi riconosciuto il diritto alla provvigione che, a suo dire, sarebbe sorto in virtù della conclusione tra le parti di una proposta di acquisto e dovendosi, quindi, ritenere concluso l’affare nonostante la presenza di un impegno delle parti a concludere un successivo contratto preliminare, in considerazione del fatto che tale successivo contratto preliminare non avrebbe aggiunto alcunché alle previsioni già esaurientemente dettagliate nell’accordo.
Il giudice di prime cure respingeva tuttavia la domanda attorea, ritenendo che la proposta irrevocabile – che per l’attrice integrava gli estremi della conclusione dell’affare – non costituisse un contratto preliminare, bensì un mero accordo in vista della futura conclusione del preliminare vero e proprio, come tale privo di effetto vincolante e non qualificabile come “conclusione dell’affare”.
Avverso la decisione veniva proposto ricorso in appello, dove le doglianze attoree trovavano ascolto e la sentenza impugnata veniva riformata: secondo il giudice dell’appello, invero, l’accordo raggiunto dalle parti avrebbe avuto un contenuto parzialmente diverso rispetto al successivo preliminare a cui si erano impegnate, sicché già quel primo accordo sarebbe stato idoneo a costituire “conclusione dell’affare” e a fondare il diritto dell’appellante a conseguire la provvigione.
La questione si trascinava così innanzi alla Cassazione, la quale – ribaltando l’esito dell’appello – ha affermato che
“ai fini del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato, dovendosi, conseguentemente, escludere il diritto alla provvigione qualora tra le parti si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un cd. “preliminare di preliminare”, in quanto quest’ultimo, pur essendo di per sè stesso valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela, non legittima, tuttavia, la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio.” (Cass. civ., sez. II, 13.11.2023, n. 31431).
Il cambio di rotta impresso è di tutta evidenza: in controtendenza con il passato, infatti, gli Ermellini hanno ritenuto di non considerare il preliminare di preliminare come un “affare” in senso economico-giuridico, in quanto vincolo idoneo (solo) a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare e, come tale, non tutelabile in forma specifica.
Conclusioni
La sentenza n. 31431/2023 segna quindi un punto di svolta importante in tema di provvigione per un preliminare di preliminare.
La Corte ha infatti ritenuto di escludere il preliminare di preliminare dal novero dei vincoli idonei a far sorgere il diritto del mediatore, sulla base della considerazione che si tratterebbe di un accordo non tutelabile in forma specifica, non potendo quindi il contraente che vi è fedele pretendere l’esecuzione coattiva dell’obbligazione assunta.
Si specifica in ogni caso che la pronuncia in commento è innovativa con specifico rifermento al tema del preliminare di preliminare, ma non è frutto di un intervento del tutto isolato.
La Corte ha con tutta evidenza aderito al comunque recentissimo orientamento di legittimità che vede il suo precedente nella sentenza n. 30083/2019, occasione in cui gli Ermellini si sono espressi nel senso di escludere la natura di “affare” di un patto di opzione non rientrerebbe nella definizione di “affare” la cui conclusione è presupposto necessario perché nasca il diritto alla provvigione del mediatore.
Con la sentenza in esame, il supremo Collegio aderisce a questo secondo orientamento, ribadendo il principio per il quale il c.d. “preliminare di preliminare”, pur essendo in astratto vincolo valido ed efficace, risulta idoneo unicamente a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare e, conseguentemente, non viene a costituire un “affare” idoneo, ex artt. 1754 e 1755 c.c., a fondare il diritto alla provvigione in capo al mediatore che abbia messo in contatto le parti medesime.