- L’iter negoziale.
In termini generali, il contratto di compravendita immobiliare è di norma un contratto a formazione progressiva, in cui la conclusione dell’affare è preceduta da un periodo più o meno lungo di trattative.
Le trattative si inseriscono nell’iter negoziale come momento preparatorio e strumentale: un continuum dialogare fatto di discussioni, ipotesi, richieste e offerte reciproche, governato dal disposto ex art. 1337 Codice Civile, secondo cui i contraenti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede, cioè con correttezza e lealtà reciproca (c.d. buona fede oggettiva).
In tale contesto sorge la necessità di distinguere una preliminare e prodromica fase di dialogo fra le parti – inidonea di per sé stessa a far sorgere alcun obbligo giuridico in capo ai contraenti – da una successiva fase, in cui le stesse mettono “nero su bianco” i termini dell’intesa raggiunta, se non altro nei sui tratti essenziali.
Quest’ultima, si noti, non sempre coincide con la redazione e sottoscrizione del contratto definitivo: ben potrebbe essere che le parti stesse decidano di vincolarsi dapprima solo su alcuni termini, in attesa di accordarsi sul resto del contenuto, oppure ove – a fronte di trattative particolarmente lunghe e frastagliate – le parti manifestino l’esigenza di “bloccare l’affare”.
In questi termini, preme distinguere la puntuazione di clausole, il preliminare di preliminare e il contratto preliminare.
Innanzitutto, la minuta o puntuazione si può definire come un accordo parziale intervenuto, nel corso delle trattative, idoneo a vincolare i contraenti esclusivamente nell’ipotesi in cui le intese si estendano a tutti gli elementi essenziali del futuro contratto (c.d. puntuazione completa di clausole). Tale assunto è stato confermato anche dalla Suprema Corte, che parla di “presunzione semplice di perfezionamento contrattuale, con conseguente onere della parte che sostiene che non sussiste impegno giuridicamente vincolante di provare il contrario” (Corte di Cassazione, Sez. I, Sentenza n. 2720 del 04.02.2009 e, dello stesso avviso, anche, ex multis, Cass. civ., sez. II, Ord. 2023/14111; Cass. civ., sez. II, 2020/2204; Cass. civ. 2002/10276; Cass. civ. 1997/7857).
Diversamente, il preliminare di preliminare è, per ricostruzione giurisprudenziale, quell’accordo con cui le parti formalizzano il contenuto di una prima fase della trattativa contrattuale, vincolandosi alla sottoscrizione di un successivo accordo ad effetti obbligatori (il contratto preliminare). In altri termini, il preliminare di preliminare è quell’intesa che i contraenti raggiungo sugli elementi essenziali del contratto da stipulare (causa, oggetto, forma) e che diviene utile in tutte le ipotesi in cui gli stessi – nell’attesa di stipulare il contratto preliminare – decidono di cristallizzare un loro primo accorso sugli elementi essenziali del definitivo, così manifestando l’esigenza di “bloccare l’affare”.
Da ultimo, il contratto preliminare è quel contratto ad effetti obbligatori con cui entrambe le parti o una di esse si obbligano alla stipulazione del contratto definitivo. Il preliminare si colloca in un momento successivo rispetto alla fase delle trattative e se ne distacca in quanto configurante un contratto già perfetto e vincolante, preparatorio rispetto al definitivo. La dottrina è unanime oggi nel ritenere che requisito di validità del preliminare è la sua completezza: ponendosi come contratto a tutti gli effetti distinto dal successivo definitivo, è valido solo se contiene già tutti gli elementi del futuro contratto (a titolo esemplificativo, Bozzi, 106; Gazzoni, 601, 666.; Eroli, Considerazioni sulla formazione progressiva del contratto, in RDCo, 1997, I, 73).
- L’attività del mediatore e il diritto alla provvigione.
A norma dell’articolo 1754 c.c.:
“È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.
Il rapporto di mediazione si fonda sull’espletamento di una precisa prestazione realizzata dal mediatore, consistente nel rendere possibile con il suo intervento l’avvicinamento delle parti interessate alla conclusione dell’affare.
La dottrina ritiene che l’espressione “mettere in relazione” debba essere interpretata estensivamente fino a ricomprendere qualsiasi attività che presenti una efficienza causale, sia pure insieme ad altri fattori, rispetto alla conclusione dell’affare tra due o più parti.
Con riferimento all’attività del mediatore, poi, copiosa è da sempre la produzione giurisprudenziale con particolare riguardo alla individuazione dei presupposti per il sorgere del diritto del mediatore alla provvigione: in altri termini, la vexata quaestio riguarda la possibilità di configurare il predetto diritto solo con la conclusione da parte dei contraenti messi in contatto dal mediatore del contratto definitivo, ovvero già con l’assunzione di impegni preliminari e prodromici alla stipulazione del contratto definitivo.
Il fondamento del diritto al compenso in favore del mediatore è da ricercarsi, allora, nella circostanza che l’attività di mediazione — che si concreta nella messa in relazione delle parti — costituisce l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell’affare.
La norma di riferimento in tema è il primo comma dell’articolo 1755 c.c., secondo cui:
“Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.
Per “conclusione dell’affare”, deve intendersi il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno (in giurisprudenza, ex multis, Cassazione civ., sez. III, 17/01/2017, n. 923 e Cassazione civ., sez. VI, 30/11/2015, n. 24399).
La dottrina maggioritaria, peraltro, individua il requisito essenziale per il diritto al compenso del mediatore nel rapporto causale che deve necessariamente intercorrere tra l’attività intermediatrice e la conclusione dell’affare, essendo sufficiente, che il mediatore — anche se non intervenuto in tutte le fasi della trattativa — abbia messo in relazione le stesse, in modo tale da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (nello stesso senso anche la giurisprudenza di legittimità e, ex multis, Cassazione civ., sez. VI, n. 3134/2022 e Cassazione civ., sez. II, n. 3055/2020).
- La costante giurisprudenza in tema di diritto di provvigione del mediatore.
Per riassumere, quindi, al fine di riconoscere il diritto alla provvigione al mediatore ex art. 1755 c.c., l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia validamente costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione del contratto. Pertanto, anche un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi atto conclusivo dell’affare.
Le più recenti pronunce della Corte di Cassazione non hanno fatto altro che confermare la configurabilità del diritto del mediatore a percepire la provvigione sin dalla costituzione, tra le parti messe in contatto, di un vincolo obbligatorio, di cui si può certamente parlare nel caso in cui i contraenti provvedano alla sottoscrizione della proposta di acquisto redatta in carta intestata del mediatore, quale documento certamente idoneo a configurare un contratto preliminare, che le obbliga alla stipulazione del successivo contratto definitivo.
In particolare:
- Il diritto del mediatore a ricevere la provvigione per effetto del suo intervento “va riconosciuto tutte le volte in cui si pervenga alla conclusione dell’affare, purché la sua attività abbia inequivocabilmente – dal punto di vista materiale e funzionale – costituito l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo il c.d. criterio della causalità adeguata, ovvero sempre che l’affare, poi successivamente concluso, possa ritenersi conseguenza dell’opera dell’intermediario” (Cassazione civ., sez. II, 19/03/2024, n.7394);
- “La certezza dell’esistenza dell’elemento reddituale d’impresa si determina sul piano giuridico già all’atto della stipulazione di un contratto preliminare ad opera delle parti messe in relazione dal mediatore, poiché in quel momento può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, agli effetti dell’art. 1755, comma 1, c.c.. Invero, a prescindere dalle vicende successive del contratto e da eventuali inadempimenti delle parti, il mediatore ha in ogni caso diritto al compenso per l’attività svolta fin da quando l’affare è stato concluso per effetto del suo intervento” (Cassazione civ., sez. trib., 28/02/2024, n.5322);
- “ …il diritto alla provvigione di cui all’art. 1755 c.c. sorge nel momento in cui può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. (o per la risoluzione) del contratto stesso, con la conseguenza che la provvigione spetta al mediatore anche quando questi sia intervenuto per consentire la stipula tra le parti di un contratto preliminare di vendita di un immobile” (Cassazione civ., sez. II, 02/02/2024, n.3122 e, nel medesimo senso, ex multis, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 31431 del 13/11/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 28879 del 05/10/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 20132 del 22/06/2022; Sez. 2, Sentenza n. 30083 del 19/11/2019; Sez. 3, Sentenza n. 22273 del 02/11/2010; Sez. 2, Sentenza n. 13260 del 09/06/2009).
- “ …il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario, tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso” (Cassazione civ., sez. II, 24/01/2024, n.2389)
In alcuni casi, per di più, i giudici di legittimità si sono spinti sino a considerare atto conclusivo dell’affare anche l’accordo preliminare di preliminare (ex multis, Cass. III, n. 30083/2019; Cass. III, n. 923/2017), mentre in altri hanno espressamente escluso che il cd. preliminare di preliminare possa qualificarsi come un affare idoneo a fondare il diritto alla provvigione in capo al mediatore che abbia messo in contatto le parti (ex multis, Cass. II, n. 31431/2023). Diversamente, la giurisprudenza ha escluso la configurabilità in capo al mediatore del diritto alla provvigione quando ad una prima fase delle trattative, avviate con il suo intervento e non pervenuta ad un risultato positivo, segua la ripresa delle stesse per effetto di iniziative nuove, assolutamente non ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate, sicché possa escludersi l’utilità dell’originario intervento del mediatore ai fini della conclusione del contratto (ex multis, Cass. VI, n. 22426/2020).
Orbene, mentre un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi certamente atto conclusivo dell’affare, idoneo, per l’effetto, a far sorgere in capo al mediatore il diritto alla provvigione, non si può dire lo stesso per il preliminare di preliminare e certamente bisogna negarlo per la mera puntuazione.
- Conclusioni.
In definitiva, la giurisprudenza di legittimità – nel fare applicazione del principio dell’efficienza causale – qualifica come attività di mediazione nel contesto di una compravendita immobiliare non solo il materiale contatto tra il mediatore e l’acquirente, ma anche tutta l’attività che precede e segue la visita dell’immobile (reperimento dell’altro cliente, ricezione dell’incarico, assunzione di informazioni, organizzazione della struttura di intermediazione) e che, tramite il complesso di attività, pone fruttuosamente in contatto l’aspirante acquirente con il venditore.
Tuttavia, appare opportuno segnalare che – nonostante la copiosa produzione in sede giudiziale – ancora oggi, spesso, i potenziali contraenti messi in contatto dal mediatore tentano di architettare degli escamotage per sottrarsi all’obbligazione di pagamento della provvigione spettante al mediatore. Nella più tipica delle dinamiche, invero, il potenziale venditore – che si è avvalso dell’attività di mediazione – comunica al mediatore l’intenzione di non procedere più alla vendita del suo immobile e, quindi, di ritiralo dal mercato, mentre – parallelamente – perfeziona la vendita con quel potenziale acquirente che gli era stato presentato proprio dal mediatore, che ora viene tenuto completamente all’oscuro dei fatti. Così come descritto, il tentativo dei potenziali contraenti non può che trascendere in una vertenza giudiziale, in cui al mediatore – per provare il proprio diritto alla provvigione – sarà sufficiente allegare la proposta d’acquisto dell’immobile sottoscritta dai potenziali contraenti (e quindi divenuta contratto preliminare) ovvero ogni documentazione idonea a dimostrare la configurazione, per suo tramite, di un vincolo obbligatorio tra le parti e, quindi, la proficuità dell’attività di mediazione.
In nuce, salvo accordi derogatori, il mediatore matura certamente il diritto alla provvigione già dal momento in cui – attraverso la sua attività – mette fruttuosamente in contatto le parti, tra le quali è sorto un vincolo obbligatorio idoneo ad incidere direttamente nella loro sfera giuridica.
