La condotta “abnorme” del lavoratore. Il rischio “non prevedibile” esclude la responsabilità del datore di lavoro.

La nuova dimensione del lavoratore nel quadro normativo del D. Lgs. 81/2008.

Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. (c.d. Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi lavoro) è oggi la normativa di riferimento nazionale in tema di salute e sicurezza sul posto di lavoro che, innovando rispetto al passato, ha riformulato la definizione di “datore di lavoro” e “lavoratore” e ridefinito il campo di applicazione della disciplina.

Secondo il T.U., allora, il “datore di lavoro” è il titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore che “ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa” e a cui sono attribuiti alcuni obblighi non delegabili, come la preventiva valutazione di tutti i rischi legati alle attività svolte nei luoghi di lavoro e la designazione del RSPP (responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi).

Il datore di lavoro, quindi, viene collocato in una posizione di garanzia: adottando un approccio preventivo, egli dovrà essere in grado di prevedere i potenziali rischi legati alle attività svolte nei luoghi di lavoro e, così, adottare le misure necessarie a prevenirli (o quantomeno a ridurli).

La portata estremamente innovativa della disciplina (come si vedrà infra) riguarda certamente il lavoratore e il ruolo che esso riveste nel rinnovato approccio preventivo alla materia.

Nell’attuale impianto normativo il lavoratore non è soltanto destinatario delle tutele, ma ha precise responsabilità e riveste un ruolo attivo, partecipando direttamente o tramite i propri rappresentanti alla realizzazione del sistema di sicurezza aziendale. In tal senso, si prevede infatti che ogni lavoratore – in via generale – deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro sulle quali ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro (art. 20, comma 1) (così Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro, www.lavoro.gov.it).

Orbene, T.U. apre – e qui l’elemento di novità – alla necessaria valutazione dell’impatto della condotta tenuta in concreto dal lavoratore.

Se in passato, pertanto, il datore di lavoro era considerato aprioristicamente l’unico responsabile dell’evento dannoso, ora la disciplina richiede di valutare anche l’atteggiamento effettivamente tenuto dal lavoratore rispetto alle misure preventive adottate dal datore di lavoro e i supporti di protezione da lui messi a disposizione.

Nella nuova disciplina, quindi, il lavoratore deve essere il primo ad adeguare il proprio comportamento a principi di diligenza e prudenza, allo scopo di prevenire e contrastare i rischi di infortuni sul luogo di lavoro, tutelando se stesso e gli altri lavoratori.

Nei casi in cui ciò non avvenga, spesso la giurisprudenza ha parlato di “abnormità della condotta” del lavoratore, quale circostanza idonea ad attribuire in tutto o in parte in capo a quest’ultimo la responsabilità per l’infortunio in cui egli stesso è incorso.

 

Gli obblighi del lavoratore in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Sul concetto di comportamento abnorme quale causa da sola sufficiente a produrre l’evento dannoso occorre considerare che il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità dell’idea di rischio:

tutto il sistema è conformato per governare l’immane rischio, gli indicibili pericoli connessi al fatto che l’uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli.

Il rischio dal punto di vista categoriale è unico ma, naturalmente, si declina concretamente in diverse guise in relazione alle differenti situazioni lavorative. Dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità.

Sotto questo specifico profilo occorre tenere nella debita considerazione che la condotta del lavoratore va valutata alla luce della mutata filosofia (recepita a chiare lettere dal D. Lgs. n. 81/2008) in tema di sicurezza sul lavoro.

Nel sistema della sicurezza del lavoro, quindi, si è passati nel tempo da un modello “iperprotettivo” – interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi contro la loro volontà) – ad un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.

Ciò si riflette, ade esempio, sul ruolo della formazione – e sulle ricadute della stessa sul piano dell’accertamento delle responsabilità in caso di infortunio – che costituisce non solo un diritto, ma anche un obbligo del lavoratore.

Il nuovo modo di concepire la sicurezza sul lavoro (rimarcato nel D. Lgs. n. 81/2008) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.

Come si legge all’articolo 20 del T.U., invero:

Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.”

In questa rinnovata visione del sistema, quindi, la valutazione delle circostanze concrete che hanno dato corso all’evento dannoso non passa più esclusivamente per una valutazione della condotta del datore di lavoro.

La giurisprudenza cerca di procedere in linea con tale filosofia valutando, in modo diverso rispetto al passato, la responsabilità dei lavoratori in base al cd. principio di autoresponsabilità degli stessi.

Per dirla in altri termini, il Legislatore ha posto in capo al datore di lavoro il dovere di procedere, in via preventiva, ad una valutazione dei rischi per la salute e sicurezza del lavoratore nei luoghi di lavoro, ma dal momento che dovesse verificarsi un infortunio – e, quindi, ex post – sarà necessario verificare, ai fini della responsabilità, se le misure preventive predisposte dal datore di lavoro erano adeguate, ma anche se il lavoratore abbia tenuto una condotta conforme alle linee guida e alle precauzioni introdotte dal datore di lavoro.

Per dirla ancora diversamente, la responsabilità del datore di lavoro dovrà essere ridotta (se non addirittura esclusa) in tutti quei casi in cui l’infortunio sia stato determinato, in tutto o in parte, da una condotta dal lavoratore negligente od imprudente, che il datore di lavoro, a monte, non era nelle condizioni di prevedere (e, quindi, di evitare).

 

Il concetto di “abnormità”: la responsabilità del lavoratore a fronte di una condotta del tutto imprevedibile. 

Sulla base di tali riflessioni si innesta la differenza tra comportamento “esorbitante” e comportamento “abnorme” o eccezionale del lavoratore.

Una condotta si può dire “esorbitante” quando fuoriesce dall’ambito delle mansioni, ordini o disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del contesto lavorativo.

In questi casi la responsabilità a carico del datore di lavoro non è esclusa dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito al verificarsi dell’infortunio, proprio perché l’imprenditore è chiamato a gestire “la sfera di rischio”, vale a dire l’area che designa l’“ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l’obbligo del garante”. Il lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli finisce per porre in essere un modo di fare esorbitante ma non abnorme.

Diversamente, la condotta del lavoratore può dirsi “abnorme” quando si sostanzia in comportamenti e scelte del tutto imprevedibili dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta.

A venire in rilievo ai fini dell’individuazione del comportamento ‘abnorme’ del lavoratore, che esclude la responsabilità del datore di lavoro, è il requisito della ‘consapevolezza’ dell’osservanza delle cautele impostegli, ponendo in essere una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e dunque non può evitare. Com’è stato sostenuto, tale caratteristica dell’abnormità è ravvisabile soltanto quando il comportamento del lavoratore, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è la condotta del lavoratore che ponga in essere attività facenti parte delle normali attribuzioni lavorative.

L’”abnormità” si rinviene quindi in comportamenti di tale gravità che per le loro caratteristiche non siano più in alcun modo riconducibili al potere-dovere di controllo dell’imprenditore sulla sicurezza nelle condizioni di lavoro, interrompendo il nesso causale tra la responsabilità del datore e l’evento lesivo verificatosi a carico del lavoratore.

La condotta del lavoratore si pone come causa esclusiva dell’evento, perché ha creato egli stesso le condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere, e come tale imprevedibile per il datore di lavoro.

Allora, tale comportamento è ‘interruttivo’ non perché ‘eccezionale’ ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Dovrà quindi escludersi la responsabilità dell’imprenditore allorché l’infortunio si sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto.

È opinione comune di dottrina e giurisprudenza che comportamento abnorme sia quello posto in essere autonomamente e come tale svoltosi in ambito estraneo alle mansioni affidate al lavoratore o, laddove dovesse rientrare in tali mansioni, consista in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

Sul punto, secondo la Corte di Cassazione:

  • perchè la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale” (Cassazione penale, sez. IV, 25.09.2023, n. 38914)
  • All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro” (Cassazione penale, sez. IV, 22.11.2023, n. 46841)
  • perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questo abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante” (Cassazione penale, sez. IV, 25.09.2023, n. 38914)

Il datore di lavoro, pertanto, secondo il supremo Collegio, può essere esonerato da responsabilità solo ove – secondo il concetto di “abnormità” – la condotta del lavoratore sia stata da sola sufficiente al verificarsi dell’infortunio.

 

Conclusioni.

Pertanto, nonostante le novità normative, è evidente che il datore di lavoro è chiamato a muoversi in un terreno – quello della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro – particolarmente impervio ed insidioso, in cui la sua responsabilità non si intende esclusa anche e nonostante il lavoratore si slanci in comportamenti imprudenti, se non quando tali siano riconducibili alla definizione di “abnormità”.

Sempre di più, quindi, la valutazione in concreto della responsabilità del datore di lavoro per infortunio o malattia professionale deve essere passare necessariamente per un esame attento di tutte le peculiarità del caso concreto.

A differenza del passato, la vigente disciplina richiede un esame delle misure preventive predisposte ex ante dal datore di lavoro per escludere (o quantomeno ridurre) il rischio legato all’infortunio che si è verificato; ma anche una disamina delle effettive condizioni che hanno determinato l’evento, al fine di verificare se (e, se si, in che termini) la condotta imprudente o negligente del lavoratore abbia inciso nella causazione dell’infortunio e se questa possa ricadere nella definizione di “abnormità”.