La responsabilità solidale dei componenti del CdA: il profilo della colpa concorrente

Da sempre fonte di ampia produzione giurisprudenziale, il tema della responsabilità degli amministratori per gli atti gestori posti in essere nel corso dell’incarico non smette di offrire spunto per nuove pronunce dei tribunali e della Corte di Cassazione, specie quando trattasi di atti che, formalmente, non sono frutto delle scelte di un amministratore unico, bensì conseguenza della decisione dei più.

In particolare, il presente articolo intende esplorare il tema legato ai profili di responsabilità dei membri di un consiglio di amministrazione, nell’ipotesi in cui l’atto di mala gestio sia stato concretamente posto in essere da solo un membro (o da solo alcuni membri) del cda.

La circostanza che un certo atto, una specifica decisione o una scelta gestionale sia stata, nella sostanza, adottata e attuata dal singolo consigliere non esclude la responsabilità degli altri membri del consiglio di amministrazione, anche qualora trattasi di atti gestori a cui questi ultimi non hanno partecipato direttamente.

Anzi, a dire il vero, di norma, a seguito della riforma del 2003, dal momento che la gestione della società è affidata alle scelte e alle decisioni di un cda, la responsabilità dei membri del consiglio di amministrazione è di tipo solidale: ciò significa che tutti i membri del cda rispondono verso la società delle decisioni e delle scelte gestorie formalmente imputabili allo stesso organo, anche se nella pratica poste in essere da uno o più singoli membri.

La responsabilità solidale degli amministratori comporta che tutti rispondono degli atti pregiudizievoli formalmente espressione dell’organo gestorio dal momento che non hanno fatto quanto possibile per impedirne il compimento o quantomeno per eliminare o attenuare la conseguenze dannose dello stesso.

Detta impostazione, d’altra parte, non esclude in modo tassativo che vi possano essere delle ipotesi (certamente nella pratica circostanziate) in cui la responsabilità dell’amministratore rimasto estraneo all’atto pregiudizievole può essere esclusa o quantomeno limitata.

A delineare il perimetro di operatività della disciplina ci ha pensato la giurisprudenza e, sul punto, si cita una recente pronuncia del Tribunale di Venezia.

Il giudice veneziano parte innanzitutto dall’assunto secondo cui la responsabilità solidale prevista all’art. 2476 c.c. integra “un’ipotesi di responsabilità colpevole, mai oggettiva, che richiede quindi non solo l’accertamento di una condotta, commissiva od omissiva, imputabile a ciascun amministratore, ma anche la sussistenza, quantomeno, dell’elemento soggettivo della colpa.

Enfatizzando quindi la necessità, ad integrazione della fattispecie, del fatto che l’amministratore debba aver posto in essere una condotta quantomeno colposa, il Tribunale di Venezia giunge ad affermare che

la regola della responsabilità solidale gestoria non esclude affatto che, sebbene in astratto tutti gli amministratori possano essere responsabili del danno cagionato alla società, in concreto la responsabilità residui solo a carico di uno o taluno di essi” (Tribunale di Venezia, sent., 15.10.2024, n. 6874).

In altri termini, se certo che – di regola – la circostanza che il fatto dannoso sia stato compiuto da un altro amministratore non è sufficiente ad escludere la responsabilità degli altri componenti del cda, la giurisprudenza ha nel tempo fissato una serie di indicatori utili ad inquadrare il perimetro della responsabilità solidale.

Nello specifico, affinché si possa profilare la responsabilità solidale dell’amministratore che non ha preso parte all’atto pregiudizievole sarà necessario che questi:

  • fosse comunque nelle condizioni di conoscere dell’atto posto in essere, con l’ordinaria diligenza;
  • abbia colposamente ignorato l’atto compiuto, per non avere adeguatamente rilevato i “segnali d’allarme” dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica;
  • sia rimasto colposamente inerte rispetto all’atto gestorio in questione, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta.

Il Tribunale di Venezia ha così aderito ad un consolidato filone della giurisprudenza di legittimità, che in più occasioni ha ribadito questo concetto della colpa concorrente dell’amministratore, membro del consiglio, che non ha personalmente e direttamente compiuto un certo atto pregiudizievole per la società, ma che rispetto al quale sia comunque rimasto inerte e non sia quindi intervenuto, pur essendo nelle condizioni, per impedirlo o per limitarne le conseguenze negative.

In definitiva, l’art. 2476 cc, nel prevedere che gli amministratori siano solidalmente responsabili per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, disciplina un’ipotesi di responsabilità colpevole, mai oggettiva, che richiede quindi non solo l’accertamento di una condotta, commissiva od omissiva, imputabile a ciascun amministratore, ma anche la sussistenza, quantomeno, dell’elemento soggettivo della colpa.

Ne consegue che, come nelle ordinarie fattispecie di responsabilità solidale civilistica, anche nell’ambito del diritto societario, la regola della responsabilità solidale gestoria non esclude affatto che, sebbene in astratto tutti gli amministratori possano essere responsabili del danno cagionato alla società, in concreto la responsabilità residui solo a carico di uno o taluno di essi.

La circostanza che il fatto dannoso sia stato compiuto da un altro amministratore non è sufficiente ad escludere la responsabilità degli altri componenti del Consiglio di Amministrazione. La colpa concorrente dell’amministratore che non abbia direttamente posto in essere la condotta illecita – fattispecie omissiva colposa – può ravvisarsi: a) nella mancata conoscenza dell’atto compiuto, purché si tratti di atto conoscibile secondo ordinaria diligenza; b) nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i “segnali d’allarme” dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica; c) nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta (Tribunale di Venezia, sent., 15.10.2024, n. 6874 in Giurisprudenza delle Imprese, mass. redazionale).