L’annullabilità delle delibere assembleari nelle società di capitali: il conflitto di interessi

Nelle società di capitali vige di regola il principio della maggioranza, secondo il quale la volontà espressa dalla maggioranza ha diritto di imporsi su quella della minoranza ed è considerata come la volontà di tutti e quindi della società stessa. Tale principio è ribadito all’articolo 2377 c.c., in cui tuttavia l’efficacia e la validità delle deliberazioni assembleari viene subordinata ad una condizione:

Le deliberazioni dell’assemblea, prese in conformità della legge e dell’atto sostitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti.

Ciò significa, in altri termini, che la natura vincolante delle deliberazioni dell’organo assembleare è subordinata alla circostanza che il suo contenuto sia conforme alla legge e allo statuto. Del resto, i vizi che inficiano l’efficacia della delibera assembleare sono sostanzialmente riconducibili a due categorie: quelli che danno adito alla nullità della delibera e quelli che danno adito alla sua l’annullabilità.

Volendosi concentrare su quest’ultima categoria, una fattispecie nominata di annullabilità è quella decisione approvata con il voto determinante di soggetti che abbiano, per conto proprio o di terzi, un’interesse in conflitto con quello della società.

La disciplina del conflitto di interessi è stata profondamente modificata dal D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (c.d. “Riforma del diritto societario”). Nel regime precedente, invero, il Legislatore aveva previsto che il soggetto che si trovava in conflitto di interessi con l’ente doveva astenersi dal partecipare alla votazione dell’assemblea sulla materia oggetto del conflitto. Ex adverso, la Riforma – salva quale eccezione in cui permane in capo al socio l’obbligo di astenersi – lascia al socio decidere se astenersi o meno dal votare.

Pertanto, a fronte della novità introdotta dal Legislatore nel 2003 l’interesse in conflitto non rileva più sul piano procedimentale (come obbligo di astensione) bensì come regola sostanziale: se il socio decide di votare la sua partecipazione al voto renderà la conseguente deliberazione annullabile laddove dalla stessa possa derivare un danno alla società ed il suo voto sia stato determinante per l’approvazione. Se invece dichiara di astenersi per conflitto di interessi, troverà applicazione il disposto ex articolo 2368, terzo comma c.c. e la sua partecipazione si calcolerà al fine del quorum costitutivo ma non sarà computata ai fini del calcolo della maggioranza o della quota di capitale richiesta per l’approvazione della deliberazione. Ne consegue che la votazione sarà invalida se in concreto risulta un danno o un possibile danno per la società.

La fattispecie del conflitto è regolata dall’articolo 2373 c.c. per le società per azioni e dall’articolo 2479 ter c.c. per le società a responsabilità limitata. Ciò che più differenzia le due discipline, del resto, è l’espressa menzione all’articolo 2373 c.c., per le s.p.a., di alcune specifiche ipotesi per cui il Legislatore ha scelto di mantenere – come da previgente disciplina – l’obbligo di astenersi dalla votazione, in particolare:

  • nelle deliberazioni riguardanti la sua responsabilità;
  • per i componenti del consiglio di amministrazione, nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.

Ciò premesso, entrambi gli articoli 2373 c.c. e 2479 ter c.c. subordinano l’annullamento della delibera assembleare al verificarsi di tre condizioni:

  1. il socio votante deve vantare un interesse in conflitto con quello della società;
  2. la partecipazione del socio deve essere determinante (in senso aritmetico) per l’assunzione della decisione (c.d. prova di resistenza);
  3. la decisione assunta dall’organo collegiale deve arrecare un danno, quantomeno potenziale, alla società.

Per quanto concerne la prima condizione, ai fini del conflitto di interessi è necessaria una vera e propria contrapposizione tra l’interesse particolare di uno o più soci e quello della società. E’ chiaro, quindi, che non rientra nell’ambito di applicazione della fattispecie in esame l’ipotesi dell’azionista che, attraverso un atto deliberativo, realizzi anche i propri interessi egoistici rispetto ai quali l’interesse della società si riveli neutrale. In questo senso:

l’annullamento della delibera adottata da una società di capitali, ai sensi dell’art. 2373 c.c., richiede, oltre all’esistenza del conflitto d’interessi, due distinte condizioni che devono sussistere entrambe: la decisività del voto espresso dal socio in conflitto di interessi e la dannosità, almeno potenziale, della deliberazione medesima per la società. Per l’annullamento della delibera, è, pertanto, irrilevante che la medesima consenta al socio il conseguimento di un suo personale interesse, se, nel contempo, non risulti pregiudicato l’interesse sociale (Cassazione civ., 21 marzo 2000, n. 3312).

L’interesse in conflitto, orbene, dovrà necessariamente essere un interesse extra sociale, nel senso di estraneo alla società e al contratto sociale. Ciò, si badi, non conduce a limitare tale categoria agli interessi personali di natura patrimoniale, ben potendosi trattare anche di un interesse particolare del socio di diversa natura, come un interesse familiare ovvero politico-sociale.

Per completezza, inoltre, non si può certamente esimersi dal rilevare la netta distinzione tra la figura del conflitto di interessi e quella, attigua, dell’abuso di potere. Anch’essa causa di annullabilità della delibera, l’abuso di diritto si verifica quando la delibera adottata dall’assemblea non è, di per se stessa, contraria all’interesse sociale, ma tuttavia è mirata a perseguire un fine illegittimo, a discapito di uno o più soci. Si configura allora abuso di potere, ad esempio, nell’ipotesi in cui l’assemblea deliberi un aumento del capitale sociale finalizzata, negli intenti della maggioranza, all’esclusivo scopo di costringere alcuni soci della minoranza a dismettere la propria partecipazione. In altri termini, l’abuso di potere che conduce all’annullabilità della delibera assembleare si configura in tutti quei casi in cui la decisione dell’adunanza, seppur adottata nell’interesse sociale, è prevalentemente orientata ad avvantaggiare la maggioranza e, quindi, a pregiudicare la minoranza.

In definitiva, la Riforma del 2003 ha drasticamente inciso sulla disciplina del conflitto di interessi nelle società di capitali, mediante l’esclusione di un generale obbligo di astensione dalla votazione del socio che vanti un interesse extra sociale in contrasto con l’interesse sociale e, di conseguenza, l’annullabilità della delibera a cui il medesimo ha deciso, nonostante ciò, di prendere parte solo ove sia la sua partecipazione sia stata determinante e la conseguente decisione dell’adunanza arrechi – o possa almeno potenzialmente arrecare – un danno alla società.