L’esecuzione in forma specifica del preliminare di compravendita immobiliare: per accedere alla tutela ex art. 2932 c.c. occorre l’esatta individuazione dell’immobile.

L’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.: una forma di tutela alternativa alla risoluzione del contratto preliminare

Nell’esperienza comune si può notare come un momento tipico della compravendita immobiliare è certamente quello, preliminare e prodromico, delle trattative. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’acquisto di un immobile è preceduto da un iter negoziale fatto di dialoghi, intese parziali e compromessi.

Se quindi le trattative sono una fase caratterizzata dal continuum dialogare delle parti circa i termini dell’affare, il contratto preliminare si colloca – ormai per consolidata opinione – in un momento successivo a quello delle semplici negoziazioni, in quanto idoneo a far sorgere tra le parti un vincolo negoziale:

il contratto preliminare è un vero e proprio contratto, ad effetti obbligatori, in forza del quale le parti assumono l’impegno alla stipulazione del contratto definitivo.

Capita non di rado, tuttavia, che una delle parti muti improvvisamente la propria volontà e non voglia più dar seguito all’impegno.

La violazione dell’obbligo, assunto in sede di preliminare, di conclusione del contratto definitivo è fonte di responsabilità contrattuale (in tal senso, da ultimo, anche Tribunale Venezia, Sez. spec. in materia di imprese, 06.06.2023, n. 996).

Ne consegue che il contraente fedele potrà ottenere la tutela dei diritti nascenti dal preliminare, chiedendo al giudice la risoluzione del preliminare e il risarcimento del danno; oppure, in alternativa, l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo assunto dal contraente infedele a norma dell’art. 2932 c.c.

L’articolo invero prevede che:

Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.

Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.”

Nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo a contrarre, quindi, la Legge prevede che possa essere pronunciata a favore dell’avente diritto una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto definitivo, “comportando, nel caso di vendita, il trasferimento della proprietà del bene e correlativamente l’obbligo dell’acquirente di versare il prezzo (o il suo residuo) eventualmente ancora dovuto”, proprio come se il contratto fosse stato effettivamente sottoscritto dalla parte infedele, neutralizzando di fatto le conseguenze pregiudizievoli discendenti dall’inadempimento (così: Cass. civ., sez. II, 19.04.2022, n. 12439).

Del resto, ci si potrebbe chiedere che tipo di contenuto debba avere la sentenza costitutiva che il giudice sarà chiamato ad emettere e, quindi, fino a che punto si estenda la discrezionalità del giudice di merito con riferimento all’originario assetto di interessi espresso dalle parti nel contesto del preliminare.

La questione è stata oggetto di dibattito giurisprudenziale e, nonostante non siano mancate nel tempo sentenze di segno opposto, la più recente giurisprudenza di legittimità afferma che

la sentenza ex art. 2932 cod. civ. deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche” (Cass. civ., sez. II, Ordinanza, 05.03.2024, n. 5961).

L’inadempimento dell’altra parte all’obbligo di contrarre è certamente il principale presupposto per accedere alla tutela ex art. 2932 c.c., ma non l’unico. Ad esso invero si aggiungono altre due condizioni necessarie indicate al primo comma della norma in commento.

Innanzitutto, il rimedio non deve essere stato espressamente escluso dal titolo: le parti, infatti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono escludere, al momento della stipulazione del contratto preliminare, l’esperibilità del rimedio in oggetto. Ma l’esclusione, per essere efficace, deve risultare expressis verbis o comunque da univoca volontà delle parti, emergente in modo chiaro dal titolo (in questo senso, in dottrina, Gabrielli, Franceschelli, Contratto preliminare, I, Diritto civile, in EG, IX, Roma, 1988, 11).

La seconda ulteriore condizione è data all’inciso “qualora sia possibile“, a cui la dottrina maggioritaria riconduce tutte le ipotesi di impossibilità, sia di fatto (ad esempio, il perimento della cosa oggetto di un preliminare di vendita) che di diritto (ad esempio, l’avvenuta alienazione della cosa ad un terzo). Vi è tuttavia chi rileva che il requisito della possibilità dell’esecuzione attiene piuttosto all’ampiezza dei poteri del giudice in sede di determinazione del regolamento di interessi, esplicitando l’esigenza che il preliminare sia idoneo a “definitivizzarsi” (così, Mazzamuto, L’esecuzione specifica, 355).

In ossequio all’orientamento prevalente in dottrina, la Suprema Corte ha confermato che il requisito della possibilità debba essere inteso nel senso di “pratica attuabilità del comando giudiziale”, condizione che non può sussistere quando “la particolare situazione di fatto o di diritto impedisce che la sentenza possa realizzare il risultato del contratto definitivo” (A. Palermo 23.1.1991).

 

La recentissima pronuncia della Corte di Cassazione n. 18681/2024

Nel “delicato” contesto della “possibilità” del rimedio si inserisce la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione n. 18681/2024, che afferma un importante principio in tema di individuazione del bene promesso in vendita.

Precisamente, gli Ermellini si esprimono in tema di contratto preliminare di vendita immobiliare di cosa generica.

Nel caso di specie, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. il ricorrente si rivolgeva al Tribunale di Pavia, chiedendo di accertarsi l’inadempimento della società resistente alle obbligazioni nascenti dal contratto preliminare di compravendita immobiliare, dalla stessa sottoscritto in veste di promittente venditrice ed invocando l’esecuzione in forma specifica del predetto accordo, nonché la condanna della resistente al risarcimento del danno derivante dal suo inadempimento.

Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda e chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’inadempimento dell’attore, del suo diritto di trattenere gli acconti, nonché la condanna della controparte al risarcimento del danno.

Il giudice di prime cure dichiarava risolto il contratto preliminare, ritenendo non accoglibile la domanda ex art. 2932 c.c., poiché il preliminare non conteneva gli elementi idonei a consentire l’emanazione di sentenza costitutiva.

Dello stesso avviso anche la corte territoriale in sede di impugnazione, che parimenti negava l’esistenza dei presupposti per concedere la tutela ex art. 2932 c.c.

La vicenda si trascinava così fino al terzo e ultimo grado di giudizio, senza tuttavia alcuna soddisfazione per il ricorrente, il quale vedeva confermarsi l’esito dei due precedenti gradi di giudizio.

Invero, con la sentenza n. 18681/2024 la Suprema Corte ha innanzitutto enunciato il principio generale, per cui:

In caso di contratto preliminare di vendita immobiliare di cosa generica, l’oggetto dello stesso può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua stipulazione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo

precisando quindi che, nel diverso caso in cui la conclusione del contratto definitivo afferisca ad una pronuncia giudiziale ex art 2932 c.c.,

occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento” (Cass. civ., Sez. II, Sent., (data ud. 25/06/2024) 09/07/2024, n. 18681).

Pertanto, secondo la Suprema Corte, solo in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo l’oggetto dello stesso può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua stipulazione; ciò non può avvenire, ex adverso, nel caso della conclusione del contratto definitivo che passi attraverso una pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c. e quindi nell’ipotesi in cui non via consenso delle parti alla stipulazione, che rispetto alla parte fedele sarà di fatto “coattiva”.

In questa ipotesi, occorre infatti che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento.

 

Conclusioni

In generale, quando una delle parti decide di non adempiere al preliminare sottoscritto e, quindi, di non procedere consensualmente alla stipula del contratto definitivo, il contraente fedele ha due alternative: agire giudizialmente per la risoluzione del preliminare e chiedere il risarcimento del danno; oppure optare per il rimedio ex art. 2932 c.c., chiedendo al giudice una sentenza che riproduca in un contratto definitivo l’assetto di interessi espresso in sede di preliminare: proprio come sarebbe avvenuto se la controparte infedele avesse adempiuto all’obbligo assunto.

In astratto, quindi, la parte può accedere a due forme alternative di tutela. Potrà chiedere la cessazione definitiva del vincolo per l’inadempimento altrui, oppure far sì che il rapporto programmato sorga comunque, nonostante il rifiuto dell’altro contraente.

In ogni caso, l’attore potrà accedere al rimedio ex art. 2932 c.c. solo ove ricorrano i presupposti espressamente citati dalla norma: l’inadempimento della controparte e la possibilità di dare coattiva esecuzione all’obbligo di conclusione del definitivo.

Con preciso riferimento al contratto preliminare di compravendita immobiliare, la Corte di Cassazione ha quindi precisato che il rimedio dell’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre è perseguibile solo con riferimento al preliminare in cui l’immobile oggetto è catastalmente individuato. Diversamente, il contraente fedele non potrà accedervi quando si tratti di preliminare di vendita di cosa generica, in cui l’immobile che né oggetto è stato solo genericamente individuato.

A pensiero dello scrivente, la pronuncia della Corte di Cassazione non fa altro che riprendere ciò che in più occasioni era stato affermato, seppur “tra le righe”, dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.

Appurato che il giudice può imporre solo l’esecuzione di un contratto definitivo che ricalchi precisamente i termini dell’accordo e l’assetto di interessi espresso dalle parti, il contraente fedele sarà ammesso ad accedere alla tutela costitutiva dell’articolo 2932 c.c. solo ove l’immobile che si voleva compravendere è stato, sin dall’origine, precisamente individuato.

L’idea che il rimedio sia disponibile anche nel caso in cui le parti abbiamo semplicemente manifestato l’intenzione di procedere alla compravendita di un immobile generico “cozza” in modo evidente con quanto prima detto: il giudice non sarebbe messo nelle condizioni di dar seguito ad una volontà delle parti che, di fatto, non è mai precisamente manifestata.

In queste ipotesi, quindi, la risoluzione del contratto preliminare rappresenta l’unico rimedio esperibile.